È mio figlio. È mio fratello. Sono io.

è mio figlio fratello

 

Solitamente nel mio blog non parlo di gossip, di cronaca, di politica. Di quello che si legge sui giornali o che si vede in tv. Stavolta, però, proprio non ce la faccio. Non ce la faccio a stare zitta. Lo devo dire. Lo voglio dire.

Tutti quei profughi che stanno arrivando come un fiume, che scuotono le nostre tranquille vite ed è un continuo vedere immagini di morti, di salvati, di persone ammucchiate in attesa di non si sa cosa.
Mi chiedo come si possa ancora far finta di niente. Mi chiedo come si possa non vedere l’umanità in quelle persone. Sono persone! Punto e basta. E come tali vanno aiutate, rispettate, accolte.
Eh no! Non parlo così solo perché io ho la mia vita felice e il problema della povertà è qualcosa che non mi tocca. Parlo perché nelle favelas brasiliane io ci sono stata. Ho visto con i miei occhi cosa significhi non avere nulla. Ho visto le donne spazzare il pavimento della loro baracca, che un pavimento non l’aveva nemmeno e spazzavano la polvere dalla polvere. Ho visto bimbi di pochi anni nascondere nelle tasche metà della porzione dell’unico pasto giornaliero che un’associazione di volontari dava loro per portarlo ai fratelli a casa.
Ho visto con i miei occhi, durante un viaggio nell’est Europa, un bimbo con la testa aperta per una bastonata solo perché stava rubando un frutto da dare al fratello ancora più piccolo di lui che piangeva per la fame.
Sto parlando di eventi che sembrano non legati tra di loro, ma che invece hanno in comune tantissimo: le persone che soffrono.
Lo dico, lo grido! Perché il fatto di essere nati in Italia non ci rende migliori. Il fatto di essere nati in Europa non ci rende migliori.
Siamo stati migranti anche noi, e lo siamo tutt’ora. E lo sono stata anche io per alcuni anni. Quindi so bene qual è l’opinione che all’estero hanno di noi. Vi assicuro che non è delle migliori.
Basta allora con questo odio, con questo rifiutare l’accoglienza.
Perché se guardiamo nel nostro piccolo, c’è questo sentimento che ormai fa parte di noi e nemmeno ce ne accorgiamo più.
La mamma che non manda il figlio all’asilo comunale perché è pieno di extra comunitari e vede questo come un aspetto negativo e non come una possibilità di scoprire nuove culture.
La signora che entra in una sartoria e chiede”tu parlare italiano?” solo perché il proprietario ha gli occhi a mandorla.
Si respira ogni giorno questo sentimento.
Finché non cambiamo nel nostro quotidiano, il mondo non cambia.
La questione dei migranti é molto più profonda, ha radici molto più lontane e non si limita a quello che succede nei nostri paesi e città che decidono di accogliere. Il problema non è solo quanto ci costano, quanto hanno gratis, quanto ci stanno addosso.
Il problema ha radici molto più profonde. E se non vediamo che il bambino morto sulla spiaggia e raccolto da un poliziotto turco poteva essere nostro figlio… Se non vediamo che la bambina morta perché gli è stata gettata l’insulina in mare poteva essere nostra figlia… Se non vediamo che ogni profugo poteva essere nostro fratello, nostra sorella… Se non vediamo che potevamo essere noi… Se non vediamo tutto questo, è perché abbiamo perso la nostra umanità.
 
Perché quel profugo é mio figlio. È mio fratello. Sono io.
Voglio stemperare un po’ le mie parole e lasciarvi con la speranza che il mondo possa essere migliore, partendo proprio dai bambini, partendo dal “Girotondo di tutto il mondo” di Gianni Rodari.
girotondo di tutto il mondo rodari

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